Ruolo e rango nei processi di valutazione
Crisi del confronto tra livelli amministrativi
La questione della dignità e libertà di espressione progettuale ed il comportamento intransigente di delegati, consumato nell’espletamento dei compiti assunti dalle organizzazioni cui fanno parte, richiedono una sollecita azione di confronto specialistico con il fine di ricomporre pacificamente ruoli e ranghi nel processo valutativo. La normativa di settore non ha bisogno di essere rivista, ma solamente decifrata e compresa. Il ruolo del progettista architetto, tra stimoli e restrizioni culturali, ha bisogno di assodare la sua storica credibilità.
Giovanni Zandonella Maiucco
architetto e urbanista
libero professionista
Il proverbio dice “chi tace acconsente” a cui si aggiunge “che chi non parla non dice niente”.
Si ringrazia per il contributo critico offerto in sede di redazione del documento:
arch. urb. Maurizio Bartoli (PU)
prof. arch. Giorgio Croatto (Pd)
arch. Francesco Cappa (Mn)
arch. Enrico Dodi ( Mi)
arch. Erika Ghitti (Mn)
arch. Andrea Guastalla (Mn)
arch. Cristiano Guernieri (Mn)
arch. Sara Guernieri (Mn)
arch. Umberto Minuta (Vr)
arch. Valentino Ramazzotti (Mn)
arch. Corrado Scè (Mn)
arch. urb. Giuseppe Tamagnini (Cr)
arch. Monica Tarchini ( Mn)
arch. Sara Vighini (Mn)
arch. Francesca Lamberti Zanardi (MN)
geom. Alberto Vincenzi ((Mn)
rag. Giorgio Cappa (Mn)
IN COPERTINA: disegno autore “assedio“
Anno 2021
Prefazione
La questione attinente il ruolo e il rango dei soggetti preposti alla valutazione dei progetti di trasformazione del territorio, sollevata dall’ Ordine Architetti della Provincia di Mantova, stimola riflessioni che si estendono alla figura del progettista, e soprattutto al compito affidatogli nell’elaborazione del pensiero teorico e dello sviluppo pratico.
Un “pensiero teorico” che, nel solco della tradizione (soprattutto per gli architetti), affonda le radici ben oltre la semplice capacità di render conto dei contenuti scientifici di un progetto e che, idealmente, ricollega il ruolo all’ars al più pertinente e aimè forestiero, kalos kai agathos.
Uno “sviluppo pratico” che, come già scriveva Vitruvio, si sostanzia nell’esercizio continuato e consumato dell’esperienza e della capacità di costruire con mano, tutto ciò che il pensiero inventa.
Si tratta di condizioni, quelle che afferiscono al pensiero teorico e allo sviluppo pratico, che hanno bisogno, per maturare, di aree dell’intorno favorevoli; che necessitano di fiduciosa comprensione, di suggerimenti validi e costruttivi da parte dei committenti e dei soggetti a diverso titolo coinvolti nell’iniziativa. Un presupposto necessario, questo, per trasferire la genuinità dell’idea, alla sua attuazione.
Attese e responsi di processo
La corretta esecuzione di un’opera, si sa, dipende da una miriade di fattori che racchiudono, per ogni singolo percorso, un “grado di complessità” spesso caratterizzato da varietà di componenti[1] e soggetti che, a diverso titolo, rappresentano interessi di parte. Talvolta accade che componenti, partecipanti ad un processo, e singoli soggetti, agiscano in modo eccessivo ed esuberante il ruolo che è stato loro affidato. Il risultato che ne scaturisce –purtroppo già rilevato nell’ esperienza quotidiana- materializza effetti, non di rado, diversi se non addirittura contrari alle ragionevoli “attese iniziali”. Merita evidenziare, in proposito, che soprattutto per progettazioni importanti “l’attesa[2]” si matura dopo lo svolgimento di fasi interne di fattibilità e perfezionamento ed è generalmente collegiale.
L’attesa – composta da specifici connotati preliminari, si sviluppa a seguito della costruzione un iter procedurale e di passi funzionali e, comunque, solamente dopo che si è deliberato un obiettivo.
Talvolta l’attesa è compromessa e talora infranta.
Le ragioni sono plurime; possono essere di natura costruttiva, economica, burocratica e amministrativa; tutte competenti e pertinenti ma, spesso, capaci di deviare dai propositi iniziali. Anche questioni di natura paesaggistica, paesistica, culturale possono condizionare il processo ed è proprio di ciò che si intende trattare nell’ambito di questo contributo.
Il paesaggio, la nostra cultura, la memoria, le testimonianze della nostra civiltà vanno difese, conservate, integrate e promosse; vanno confermate ed attestate per le nuove generazioni, indipendentemente dai precetti costituzionali; ciò va detto in premessa per non travisare i contenuti del testo che segue.
Quello che invece disorienta è la anomala condizione di “mala partecipazione” al processo di controllo da parte dei soggetti preposti. Dobbiamo adottare e perseverare l’utilità del confronto, per difendere, conservare, integrare e rendere efficiente la presenza attiva sul territorio. Abbiamo bisogno di tutta la nostra intelligenza- parafrasando Gramsci- anche per saper cogliere dal contraddittorio le ragioni dell’altro. Dubitare invece dei propositi progettuali, insinuarne il dubbio di “qualità”, arrancare sommarie soluzioni verticali ed esigerne l’adozione è come potare, all’altezza del tronco, alberi appena piantati.
In questa condizione e approccio, si maturano e sviluppano le condizioni di “buona o mala” partecipazione al processo di confronto. Processo, che negli ultimi anni è stato messo in crisi da un sensibile malcontento degli operatori che accusano il ruolo, non sempre imparziale e costruttivo, di funzionari, commissari ispettori, incaricati del controllo tecnico dell’intervento proposto[3]. Nella generalità dei casi un parere – sia vincolante, sia obbligatorio – che eccede nel ruolo, converte in “alternativa” l’ipotesi progettuale[4], con il rischio di tradurre in mediocrità il progetto, anziché migliorarlo.
Si tratta di una condizione seria che non di rado compromette la qualità degli obiettivi progettuali e che andrebbe relegata tra i “difetti di processo”. Il dibattito culturale, su base normativa e professionale[5], mirante al dialogo tra i ranghi, potrebbe contribuire a migliorare il gap che si è generato in quest’arena. Sarà indispensabile la partecipazione degli attori tutti, i progettisti e i valutatori, i cultori della disciplina e della legge.
Progetti e adeguata rappresentazione
Portare a compimento un’opera, dopo averne partorito l’idea, è una mansione faticosa che impegna il progettista ad assumere un ruolo attivo e sovraordinato alla semplice azione di rappresentazione grafica[6]. Il progetto è solamente una parte della complessità e se escludiamo il progetto di cantiere[7], necessario per costruire “con mano” l’oggetto, il progetto generico si riduce al ruolo di elemento utile a raccontare l’idea ed a raccoglierne i consensi. Questa tipologia di progetto[8] è quella che generalmente viene adottata per sottoporre al controllo delle commissioni l’dea nel suo complesso. Stante la diversità delle politiche attuative e del loro peso in termini economici o strategici, i progetti si sviluppano con caratteristiche diverse. Ci sono progetti che meritano raffronti con l’introno[9], progetti che raccontano caratteristiche edilizie[10] ed anche progetti che rispondono semplicemente a richiami di natura funzionale e che non necessitano di confronto puntuale con le condizioni precedentemente elencate[11].
Ci sono architetture e ci sono opere di edilizia; opere rappresentative della collettività e opere più dimesse, funzionali allo svolgimento delle cose pratiche. Certamente ci sono, come si suol dire, “progetti e progetti”, “opere ed opere” che non possono, però, essere raccolti in fascina e trattati allo stesso modo: meritano il logico distinguo. Ciò detto è vero anche perché tutte le iniziative, sono figlie di un’idea e tutte sono portatrici di una attesa generalmente equivalente. Tutte, inoltre, concorrono a determinare quel disegno finale[12], quella composizione complessa, il cui risultato è costituito dall’ insieme di parti[13]. Ed è proprio dentro questa complessità di “cose d’uomo e di natura” che si innestano i vincoli paesaggistici ed ambientali tanto preziosi e in certe circostanze, tanto discussi.
Dentro questo insieme di parti, trovano adeguata coerenza i termini “impatto[14]” ed “erosione[15]” su cui si basa buona parte della filosofia paesaggistica e che, unitamente alla componente conservativa compongono l’universo valutativo in materia edilizia[16]. Anche i concetti di “compensazione” e “mitigazione” non vanno trascurati in questa disamina.
E’ solamente il progetto, rappresentato in modo adeguato e sapientemente composto, che costituisce il viatico per una corretta analisi di confronto e una necessaria assistenza in sede attuativa. Possiamo dunque condividere, in questo preambolo, come non sia solamente la scala ed il formato dell’opera ad assumere priorità nella trasformazione[17], ma sia, piuttosto, il modo di progettarla e di raccontare le idee per il tramite della fase di rappresentazione grafica con il fine di permettere, prima una chiara gestione delle scelte di trasformazione e poi un’adeguata attuazione delle ipotesi condivise.
Ruolo e rango
Dentro ai temi di questo preambolo trova dunque applicazione anche il dibattito su ruolo e rango delle commissioni preposte alla valutazione dei progetti di trasformazione. Ruolo, che significa specifica competenza settoriale nell’arena del dibattito e rango che significa posizione specifica e riconosciuta del livello di autorità, nel processo decisionale. Si può dedurre- ma non è automatico- che le due posizioni, in ogni percorso decisorio, siano di carattere rotatorio e privilegino di volta in volta soggetti di ruolo più prossimi al caso in esame. Infatti la discrezionalità amministrativa si avvale dei pareri specialistici per determinare la chiusura del processo. Non di rado, però, accade che l’individualità dei soggetti aderenti ad istituzioni, enti, od organizzazioni autonome (seppur competenti) difenda posizioni di ruolo in modo non conforme ai fini prefissati, attraverso una discrezionalità tecnica “esuberante”, che talvolta costringe il naturale ricorso all’ Autorità[18].
Ed è questo, il punto di flesso, che spesso anima e disorienta il processo abilitativo in materia edilizia[19]. Ovvero una condizione in cui la posizione del soggetto aderente ad una istituzione od organizzazione coinvolta nel processo valutativo, eccede nel suo ruolo esercitando e formalizzando comportamenti avulsi rispetto alle regole[20]. Ricomporre i ruoli e le determinazioni non è mai cosa facile e laddove ciò si manifesta, il compito di dirimere la situazione è assegnato al soggetto che ha potere decisionale; nei processi afferenti opere edilizie o infrastrutturali la figura deputata è quella del RUP (anche se di fatto le cronache registrano una certa indecisione dell’autorità a svolgere in modo autorevole l’esercizio del potere decisorio[21] ; ciò è dovuto soprattutto alla mancata chiarezza che vige intorno a questo complesso di norme che regolano tale fattispecie[22]).
Merita rilevare che l’atto del controllo di una proposta di trasformazione (non sono da mettersi in discussione le modalità e le procedure attinenti la valutazione del processo) costituisce un successo dell’azione democratica[23]. Il confronto con soggetti preposti in materia, sanitaria, urbanistica, edilizia, della sicurezza già promossi dalle prime leggi urbanistiche e dalle normative settoriali, assegna al processo valutativo un responso utile, determinante e cogente. Si tratterebbe nelle intenzioni del legislatore di un percorso di confronto competente teso a far emergere (nell’interesse pubblico) le criticità dell’idea iniziale ed al contempo dare evidenza e trasparenza dell’attività di controllo e del rispetto della legge. Si tratta di un percorso, questo, che trova le sue radici nei regolamenti ottocenteschi ed a seguire nella legge urbanistica, con l’intento di pianificare le scelte per regimare le trasformazioni.
Purtuttavia questo iter di confronto, talvolta rallenta il processo e determina conflitti di competenza che rischiano addirittura di inficiare gli obiettivi iniziali. Accade non di rado (lo rilevano le cronache) che il ruolo sanitario – per esempio l’igiene – finisca per addentrarsi nei regolamenti edilizi, che la materia ambientale finisca nel sanitario o nella sicurezza, che la materia paesistica e paesaggistica abusi di ambiti propri della sfera progettuale interferendo addirittura in quella sanitaria. Quest’ultimo caso, ovvero il paesaggistico, è quello che più di altri registra vizi di coerenza (da parte degli ispettori) al ruolo affidato loro dalla legge[24]. Si lamenta, che soggetti preposti alla valutazione, non di rado – e per la vastità del campo valutativo- eccedano nell’azione ispettiva fuoriuscendo dal limite della verifica di semplice compatibilità, per addentrarsi in ambiti che sono propri della scelta progettuale. Questa azione, spesso condotta in modo verticale e immotivato dal soggetto valutatore, è talvolta avulsa dal fine stesso che sottende al ruolo e finisce per determinare più “danni che contributi” al processo di confronto. Si tratterebbe di una contraddizione in seno ad un processo che, anziché favorire il perfezionamento dell’idea e confermare l’attesa si impone come balzello inopportuno e fuorviante, addirittura dannoso per il soggetto attuatore e assolutamente inconsistente nell’interesse pubblico[25].
E’ risaputo che un progetto di trasformazione edilizia, che incida sul paesaggio è obbligatoriamente sottoposto al parere di compatibilità alla normativa plurisettoriale, dal quale ne deriva una determinazione autorizzativa. Se il progetto riguarda ambiti vincolati ex legge 1497/39 o edifici portatori di vincolo ex legge 1089/39- oggi riuniti nel d.lgs. 42/2004, il parere è espresso da soggetti preparati e formati appartenenti a istituzioni diverse. Nel caso paesaggistico il riferimento è di competenza regionale[26], mentre nel caso monumentale la competenza è ministeriale[27].
Il dibattito promosso dall’Ordine Architetti dalla Provincia di Mantova muove appunto dai comportamenti di ruolo e anche di rango che i soggetti rappresentanti, enti, organizzazioni, esprimono nell’ambito del processo valutativo.
Come già detto, questo atteggiamento di esubero nel ruolo, promuove una serie di pesanti ricadute nel processo decisionale che, oltre a perturbare gli obiettivi iniziali, costringono a rallentamenti inopportuni e disorientano le attese.
Il parere che restituisce un collegio ispettivo, singolarmente o in conferenza, dovrebbe essere per logica conseguenza, finalizzato a verificare “se e come” le proposte del progetto, interferendo con i diversi ambiti, siano o meno compatibili; se debbano essere per qualche ragione ricomposte ad interessi superiori.
Si tratterebbe di un controllo di contenuti strettamente volto a migliorare il prodotto e qualora sussistano ragioni contrarie queste dovrebbero essere adeguatamente motivate e giustificate nell’interesse pubblico[28].
Gli orientamenti della giurisprudenza hanno confermato che il parere di natura paesaggistica costituisce espressione di discrezionalità tecnica[29] e che ogni parere espresso, sia esso positivo o negativo debba essere corredato da motivazione. Il parere dovrebbe, in sostanza, esporre chiaramente al progettista (che nel suo ruolo è soggetto esclusivo), le esaurienti ragioni che sottendono alla determinazione assunta, ed anche esplicare quali siano i caratteri lesivi che andrebbero risolti. Non dovrebbero esserci prevaricazioni di ruolo e neppure abusi di posizione: al progettista spettano tutte le scelte, ed al soggetto ispettore la verifica accurata della conformità delle idee, rispetto ai già citati pubblici interessi.
Purtuttavia questa modalità di responso è cosa rara; spesso il parere[30] che viene espresso, soprattutto nell’ambito della materia paesaggistica, esubera in forme testuali fuori ruolo e fuori rango, costringendo il processo ad essere revisionato se non arrestato.
A questo atteggiamento (i RUP, anche se detentori di autorità garantita dall’amministrazione attiva, non sempre si oppongono) si accoppia – lo registrano le cronache- una non esaustiva motivazione sostituita da affermazioni di carattere discrezionale non adeguatamente supportate e dunque non legittime.
Insomma, in questo contesto, si registra una situazione difficile ed è per questo che gli architetti mantovani muovono le loro domande.
I conciliaboli raccontano di singolari pareri
Gli argomenti che hanno mosso l’interesse di uno specifico confronto sulla materia, sono molteplici e le caratteristiche dei singoli casi – in cui si presuppone una irregolarità sono oggetto di una specifica raccolta da parte dell’Ordine degli Architetti della Provincia di Mantova.
L’analisi settoriale rileva come siano stati accertati pareri in materia paesaggistica che pretendono – senza ben chiare ragioni, la “modifica formale”, giustificata da semplici dettati impositivi di gusto soggettivo; oppure, nei citati responsi, si richieda l’allineamento di fotometrie, geometrie, componenti accessorie, con un approccio verticale e didattico irrispettoso delle competenze e dei ruoli del progettista. Addirittura, si rileva, che alcuni responsi suggeriscono soluzioni alternative e di modifica di parti volumetriche che, in certi casi, si configurerebbero in spregio ai precetti codicistici od alle esigenze funzionali del progetto stesso. Si segnalano numerosi ricorsi al parere sospensivo, o bizzarre interpretazioni sulla conta dei termini assegnati[31].
La casistica[32] rileva pareri in cui l’ispettore pretende cambi di soluzione formale e addirittura spostamenti di sedimi volumetrici, talvolta integrati da opere mitigative generalizzate e indirettamente “poco riverenti” degli sforzi progettuali. Si rileva, nelle disamine tra professionisti, che l’ispettore, talvolta, pretenda comportamenti di non motivata correzione progettuale sovraordinati alle disposizioni urbanistiche, imponendo al soggetto attuatore (per esempio un lottizzante) indirette richieste di azioni mitigative e conseguenti ulteriori balzelli. Si dice che i pareri resi sulla pianificazione urbanistica, talvolta siano integrati da disposti prescrittivi che appesantirebbero immotivatamente l’attuazione del PGT e il suo carattere di strumento regolatore di gestione delle trasformazioni. Si rileva talvolta, che le indicazioni di PGT siano messe in discussione dal livello attuativo. Si segnala che, soprattutto per quanto attiene alla sfera dei pareri obbligatori e vincolanti, i tempi per le risposte siano generalmente fuori termine con ritardi[33] che in taluni casi risultano intollerabili e dannosi al processo. Si dice (ma si tratta questioni con ricadute di natura deontologica tutte da verificare) che anche laddove il confronto sia condotto in presenza, l’ispettore generico, tradisca nei confronti dei colleghi, un’autorità sovraordinata negli approcci, che si pone al limite del codice deontologico.
Tutto quanto detto, evidenzia che il processo di controllo e verifica dei pareri, siano essi facoltativi, obbligatori, vincolanti o non vincolanti è disorientato rispetto alle attese e tale condizione contrasta con una pluralità di condizioni che vanno dalla sfera amministrativa a quella professionale sino a quella culturale.
Condivisi orientamenti di settore
Bisogna ammettere che non è possibile esporre un articolato esaustivo in questo breve spazio, stante la complessità dei temi che la materia solleva. Purtuttavia alcune riflessioni – oramai condivise dagli addetti ai lavori – possono essere rammentate.
Il processo di controllo interdisciplinare di un progetto è un atto dovuto su ogni iniziativa che non sia di edilizia libera. In ogni caso, le opere consentite senza titoli abilitativi vanno realizzate nel rispetto delle prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali e di tutte le normative sull’attività edilizia, applicabili[34].
Laddove le opere non possano essere incluse nelle condizioni suddette, il relativo progetto, è sottoposto ad attività ispettiva da parte dell’Ufficio, il quale si conforma in riferimento alla tipologia del parere da richiedere. I pareri come è noto possono essere facoltativi[35] oppure obbligatori[36], vincolanti[37] o non vincolanti. Se l’ambito territoriale è sottoposto a vincolo paesaggistico, la procedura abilitativa si divide in due filoni: una prima si obbliga ad assumere i pareri afferenti la componete infrastrutturale ed edilizia, una seconda (ben divisa anche sulla nomina e distinzione delle autorità) si focalizza sull’ottenimento dei pareri paesaggistici (Commissione per il paesaggio e Soprintendenza se dovuta). La legge prevede infatti che i due percorsi siano condotti in modo indipendente per poi confluire in una unica sezione decisoria.
La distinzione tra pareri vincolanti e non vincolanti, attiene non tanto alla facoltà o all’obbligo di richiederli, quanto alla necessità o meno per l’organo di amministrazione attiva di conformarsi al contenuto del parere stesso. I pareri, siano essi facoltativi od obbligatori, sono da intendersi come vincolanti, laddove l’organo decisorio finale non possa discostarsi dal parere ricevuto. Sono invece da intendersi non vincolanti i pareri da cui l’organo di amministrazione attiva si può discostare, motivando adeguatamente le ragioni nel provvedimento finale.
Merita rammentare, che i pareri (il cui compito è quello di apportare un contributo concreto all’amministrazione attiva[38]), nella generalità sono di natura non vincolante; questo perché i pareri, hanno carattere ausiliario (sono detti generalmente di discrezionalità tecnica) e si inseriscono in un procedimento amministrativo destinato a convergere in un provvedimento finale. E’ sottinteso che, qualora i pareri fossero tutti vincolanti, l’Organo perderebbe il suo potere decisorio.
Qualora il potere sia di natura vincolante[39] (come nel caso di specie dei pareri soprintendizi di cui ex art. 146, comma 5) l’organo decisorio si deve allineare in toto[40] ai contenuti dello stesso parere, senza poter agire nel merito. E’ questo in caso in cui la discrezionalità amministrativa è limitata all’osservazione dei contenuti del parere vincolante ritenuto sovraordinato. L’amministrazione soprintendizia (che svolge un ruolo di soccorso[41] per quelle regioni che non hanno ottemperato a tutto il 2009 alle disposizioni art 159 d.lgs. 42/2004) si erge a parere sovraordinato obbligatorio e vincolante, come confermato dalla riforma contenuta dpr 31/2017. Non è possibile all’amministrazione attiva assurgere a decisioni irrispettose dei contenuti del parere vincolante a meno che questi (Cons. Stato IV 9 febbraio 2016 n. 517, Cons. di Stato n. 2136 del 2015, n. 04927/2015) non giunga fuori termine massimo, per cui il parere tardivamente espresso perderebbe il proprio rango.
Pareri, approcci al progetto e conflitti culturali
Quanto detto costituisce solamente una parte degli argomenti che gli architetti mantovani intendono promuovere sull’argomento.
La questione in atto non sta nella legge, che come dicono alcuni addetti ha “riconsegnato” allo Stato[42] la gestione dei beni paesaggistici dopo averli delegati con dpr 616 del 77 alle regioni (dura lex sed lex). La legge è completa ed esauriente sulla materia.
La questione in atto non sta neppure nell’organizzazione amministrativa che agisce nell’interesse finale anche in ottemperanza dei precetti del primo comma l. 241/90[43]
La questione si colloca, invece, nel modo con cui i soggetti preposti e formati per le verifiche di conformità, esercitano il loro ruolo. La questione, che andrebbe riordinata, ricomprende il comportamento esuberante e fuori ruolo che i soggetti preposti all’espressione di un parere di discrezionalità tecnica (sia esso vincolante o meno) esprimono in accompagnamento al fine prefissato.
Ciò che va riassettato, in un confronto tra esperti (tutti accomunati da propositi di rispetto della bellezza, tutti specializzati nella disciplina artistica e tutti riverenti al processo) è il rispetto delle parti o, se preferiamo, rispetto dei ruoli.
Non è, questa, una questione banale che muove da un lamentoso capriccio di chi vuole fare, ma che ne registra l’impedimento. La faccenda è seria; molto più, di quanto le numerose righe che abbiamo scritto non possano raccontare. Si innestano, in questa arena del dibattito, conflitti culturali, professionali, deontologici, meno evidenti ma importantissimi, come l’entusiasmo del fare e la libertà di portare “a forma” il pensiero.
Solamente un approccio superficiale può intendere queste parole come incoerenti o fuorvianti rispetto al tema.
Un esame di discrezionalità tecnica su un progetto d’architettura (abbiamo già condiviso che ci sono progetti e progetti e dunque ben s’intenda…) è un intervento delicato che impone un atteggiamento, per il valutatore, anzitutto comprensivo e sicuramente competente. E’ necessario valutare per bene, già prima dell’esame, il modo con cui le “carte” parlano e raccontano l’idea; ed è in questo momento che il valutatore dovrebbe porsi al fianco -mai di sopra- per capire la compatibilità dell’intervento, il suo grado di trasformazione, il rapporto con la componente morfologica, vedutistica ed anche simbolica se ne ricorrono le condizioni.
“ Il progetto di “ARCHI-tettura”, infatti, (ma qualsiasi progetto in generale) intende esprimere dei valori, delle idee. Chi legge il progetto dovrebbe cercare di comprendere tali valori, non di impedirne l’espressione. Dovrebbe cercare di lasciarli esprimere mantenendo un atteggiamento di rispetto, rammentando che l’architettura – da sempre – esprime pensieri che “PRE- corrono” il comune sentire e che senza una attenta valutazione delle idee che avanzano, non si tutela la memoria, ma ci si limita ad impedire il processo di miglioramento, spesso senza buon esito. Gli ideali non si possono fermare ( …)[44]”
I pareri affrettati e sbrigativi sono dannosi in tutti i sensi, cosi come l’assistenza tecnica che interferisce con le scelte progettuali, senza corredarla di una adeguata motivazione dell’interesse pubblico e senza far capire al destinatario i motivi che hanno portato a tale determinazione.
Una volta reso dalla commissione il parere va… supera facilmente lo scoglio del dirigente e diventa autorizzazione; poi “siede” accanto al disposto abilitativo.
Tornare indietro è sempre molto difficile. Solamente il giudice di merito può rilevare profili di eccesso di potere, manifesta illogicità, irragionevolezza, travisamento, carenza di istruttoria e difetto di motivazione. Si tratta di “parole grosse” e temibili, che generalmente ritornano a galla dopo che l’iter è già chiuso e l’opera realizzata.
Solamente chi non fa questo mestiere e non è governato dalla “passione” non può capire il danno morale, le ferite all’entusiasmo, che un parere esuberante arreca al progettista; non solamente ai giovani (che come si usa dire a bottega devono imparare) ma anche a chi ha già maturato considerevole esperienza.
Confidenze
Il mestiere che modella l’architetto (la citazione del titolo professionale è necessaria per circoscrivere un ambito dentro al quale dire le cose che seguono) non germina mai d’improvviso e non arruola soggetti che non siano inclini alla passione e ai moti dell’animo. Questo mestiere non è necessariamente fatto di righe – dritte o storte che siano, ma di una pluralità di condizioni, non sempre collegate da logiche ordinarie e razionali. Per dirla in termini più semplici non è mai lineare e riproducibile un percorso che conduce un’idea alla sua attuazione; si intrecciano una miriadi di questioni che, spesso, sono governate dall’intelligenza, dal metodo e, non di rado oliate dall’entusiasmo (che come si sa è meno stabile).
L’architetto ha coltivato il ruolo e ricercato il suo genio sin dai primi studi superiori; li ha perfezionati con l’università, dalla quale ha ottenuto opportunità di indirizzo e condivisione delle scelte; ha appreso il coraggio nel fare. L’università stessa gli ha dato ardimento, favorendo le sue attitudini e stimolandolo a cercare nelle profondità del suo pensiero, quel rantolo di ars che talvolta abita dentro questi soggetti. Ha saputo riconoscere, che la grande quantità delle cose da capire e da conoscere, non possono stare nel suo cappello ed ha imparato a ritagliarsi uno spazio.
Il peso di un ruolo e di un titolo acquisito tra le strette di mano degli ermellini, schiacciano oggi come ieri, il dottore in architettura di fronte all’impegno e ai maestri che Lui stesso ha invidiato e allo stesso tempo amato. L’angoscia e la smania di fare lo animano, oggi come ieri, facendogli risorgere come incubi pensieri teorici e sviluppi pratici assunti al pensiero colto dai tomi di storia dell’architettura.
E poi, c’è l’esame di stato (non è mai una passeggiata per gli architetti soprattutto per la complessità dei tempi che attorniano la figura) che ha confermato in Lui la possibilità di avviare col titolo quel ruolo che, ben si sa, maturerà nell’esperienza (auspicando possano esserci occasioni per arricchirla).
E poi via…peregrino di porta in porta a cercare un principe da servire, un principe anche modesto, piccolo, povero, che gli possa aprire le porte di casa. Si, perché ogni architetto –per vivere e alimentare il suo ruolo- ha bisogno di un principe che lo capisca, che si innamori di lui e che gli chieda di raccontarsi e di raccontare (a Mantova abbiamo esempi stupendi in questo senso) attraverso la forma, e la luce delle idee.
E un principe…arriverà; richiamato dall’attrattività di quell’indole che si sviluppa insieme al genio che l’architetto porta dentro di sé e che al contempo, butta fuori. Arriverà un principe; concederà licenza per maturare ‘l’emozione dei primi segni che pian piano – con il passare degli anni – si tramuteranno in tracce. Non sarà esclusivamente il titolo, che lo farà conoscere e riconoscere; sarà la forza del suo entusiasmo unita alla capacità di persuasione. Con il suo principe l’architetto intreccerà le redini del suo futuro.
Sin dai primi giorni di scuola e nelle facoltà si insegna l’importanza del mestiere e la necessità di saper riconoscere il proprio ruolo dentro la complessità. L’architetto imparerà col tempo a fronteggiare le aggressioni della critica ed a smorzare il suo ego (alimentato nelle accademie e regimato nelle facoltà tecniche) a vantaggio di una visione sovraordinata e più ampia dell’uomo e del suo ambiente.
Questa disamina che prende ad esempio la figura dell’architetto (tradizionalmente figura storica nell’ambito dell’ars), può certamente riferirsi anche ad altre figure che professionalmente prestano la loro mansione nello specifico de quo; come già detto, infatti, non è solamente la specifica professionale che vince, ma la dotazione di entusiasmo e di tenacia che si riesce a sviluppare.
In queste parole, certamente collocate ad un livello astratto e alto ci sta la radice di questo mestiere e la confidenza profonda sul tema dei giudizi che tale articolato solleva. Tutti coloro che hanno riconosciuto queste argomentazioni possono dirsi indirettamente confratelli nell’impegno e nel servizio.
Tutti sono consapevoli che quella radice non va fatta morire. Bisogna alimentarla con equilibrio di ruolo, riga dopo riga, calcolo dopo calcolo, riducendo l’ego e sostenendo l’entusiasmo per favorire la condivisione, con l’impegno diretto a fare bene secondo la regola di mestiere che ancora, come sempre, vale: perseguire il bello e al contempo il buono[45].
Detto questo e adattando adeguatamente i contenuti delle provocazioni (che talvolta il testo propone) ad ogni singolo caso della quotidianità professionale, si può facilmente comprendere quanto l’atto del valutare, il lavoro altrui, sia cosa ben diversa da quel “mi piace” che spesso anima l’arena. Parola spontanea, questa, che si sviluppa dalle profondità di ogni singola esperienza culturale e che va calibrata con tutte le dovute cautele per non celare lo stilo dietro al complimento.
Giunti a conclusione di questo intervento, e non avendo altro da dire si lascia al lettore, sia esso soggetto progettista, sia esso ispettore, le considerazioni del caso.
GZM
Postfazione
L’esperienza ci lascia presagire che non sarà un confronto agevole quello che gli architetti intendono condurre.
Sono troppe le variabili, troppi i punti di vista che si sovrappongono oggigiorno al tremulo segno di un confronto di necessità che, inevitabilmente, si dirigerà sul piano della “competenza” e della norma.
Un confronto aperto e franco sarà, comunque, senz’altro utile; se non altro, almeno per vedere chi ci sta e chi ci saprà stare, su quel grande palcoscenico che si chiama arena del confronto; sarà interessante capire in quante parti si sminuzza il pensiero, cosi come le priorità, ed anche il rispetto oggi rivolto al nostro mestiere.
Sarà necessario, per gli architetti mantovani, esibire tutta capacità di saper dialogare con l’Ente di Tutela e con le Commissioni preposte in materia di paesaggio, per dimostrare e sostenere sulla base culturale le proposte progettuali.
Dopo i primi riesami di questo documento, qualcuno ha chiesto dove stiano quegli architetti che spesso accendono -per il tramite del loro operare- la critica e la polemica nei conciliaboli; quegli architetti che talvolta usano il titolo per paventare un ruolo.
Potremmo rispondere, consapevoli del taglio che la domanda precisa in questo modo: “essere architetto, si sa, non è garanzia di superiore qualità in materia di gestione delle forme e degli spazi antropici. Non è maternità di bellezza, di armonia, di equilibrio formale come molti, ancora, possono credere. Essere architetto è una missione che si può sposare o meno e che cerca di svolgere il proprio ruolo dentro la complessità delle diverse comunità, con lo sforzo di trovare il ristoro di una risposta giusta. Purtuttavia non sempre l’architetto partorisce architettura; talvolta le condizioni dell’intorno, l’età, le difficoltà della vita lo “costringono” a limitarsi nel soddisfare la semplice funzione. E’ il tessuto in cui viviamo, frutto delle condizioni lamentate in precedenza, che lo costringono –per naturale sopravvivenza- a ricercare ogni pertugio verso la soluzione”.
Anche questi architetti vanno capiti, e proprio nei loro confronti va ponderata ogni valutazione seppur stringente senza concedere assolutamente scusanti o giustificazioni impertinenti.
Eppoi la critica va sempre ponderata nel valutare le cose; ci sono opere della funzione ed architetture, progetti e progetti, opere ed opere che non possono (come già detto in apertura) essere raccolti in fascina… non da ultimo c’è anche la questione del cosiddetto “moderno” che non possiamo rallentare nel rincorrerlo (da sempre tema incomprensibile ai più, ovvero a coloro che non hanno mai lavorato per riconoscerlo). A tal proposito un anonimo ricorda:
“Ci sono due idee del moderno opposte e contrastanti fra di loro. Da questo equivoco sono derivati il progressivo disfacimento di ogni criterio estetico, la distruzione dell’ambiente e lo sconvolgimento della civiltà. Con la parola “moderno” si è legittimato sia l’orrido che il sublime”.
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Aggiunta
“Vi hanno detto che è bene vincere le battaglie?
Io vi assicuro che è anche bene soccombere, che le battaglie sono perdute nello stesso spirito in cui vengono vinte.
Io batto i tamburi per i morti, per loro imbocco le trombe, suono la marcia più sonora e più gaia.
Gloria a quelli che sono caduti!
A quelli che persero in mare le navi di guerra!
A quelli che scomparvero in mare! A tutti i generali che persero battaglie, e a tutti gli eroi che furono vinti!
A gli infiniti eroi ignoti, eguali ai più sublimi eroi famosi. “
(Walt Whitman, libro Foglie d’erba ed 1885)
[1] Un sistema complesso è come una reta di componenti eterogenei che interagiscono in maniera non lineare.
[2] Il concetto di “attesa” corrisponde in questa riflessione, alla condizione di una soluzione matura, ideata e confermata dai primi processi di fattibilità. Si tratta di una condizione che si sviluppa a seguito del superamento dei confronti esigenziali e delle azioni del primo problem solving.
[3] L’atto del controllo si concretizza sull’ispezione del progetto in forza delle specialità che afferiscono al ruolo dell’ispettore ed alla normativa d’area; per la materia paesaggistica il riferimento è rivolto soprattutto ai provvedimenti di dichiarazione di interesse pubblico, ai contenuti dei piani paesaggistici e strumenti di pianificazione comunale aventi valenza paesaggistica.
[4] L’atto del progettare si appaga del lavoro di perfezionamento e stabilizzazione delle criticità che le idee contengono.
[5] Merita rilevare in questa riflessione che, oggigiorno, sono in discussione, il ruolo dei professionisti e loro specifiche competenze (all’interno della domanda posta dalla società contemporanea e dal mercato delle professioni). Anche la figura dell’architetto come quella dell’ingegnere non sono estranee alla sfida di saper affrontare il tema con consapevolezza etica, impegno civile e rinnovata volontà di migliorare la complementarietà tra le due competenze.
[6] Spesso si percepisce il progetto come il prodotto principale dell’azione attuativa ed il progettista come il suo referente. Bisognerebbe fare il giusto distinguo tra il progetto redatto per far conoscere le caratteristiche dell’opera (tipico delle fasi del confronto) e quello redatto per poterla costruire (proprio per raccontare al costruttore la sinuosità della forma e della sostanza). Sono due livelli diversi, due mappe che la normativa ha distinto in progetto definito e progetto esecutivo, livelli senz’altro importanti del processo rappresentativo che costituiscono solamente una parte , mai maggioritaria, dei contenuti dell’idea che il progettista conserva e che dovrà esplicitare nel percorso verso la conclusione del suo servizio.
[7] Il riferimento è alla tipologia di progetto “esecutivo”.
[8] Il riferimento è al progetto “definitivo” o “preliminare” comunque redatto con obiettivi rappresentativi dell’idea.
[9] Si tratta del tipico caso di oggetti che concorrono a modificare più o meno il paesaggio percepito e che generano, comunque una perturbazione visiva.
[10] Si tratta di progetti che concorrono a modificare un oggetto esistente e che generalmente incidono più sull’oggetto che su paesaggio circostante.
[11] Si tratta di opere nel sottosuolo o semplicemente estranee alla vista. Il concetto può ricomprendere anche quelle opere che pur insistendo in ambiti di rilievo paesaggistico non sono visibili da pubbliche strade o vie e dunque estranei all’interesse stesso che sottende al vincolo.
[12] Il riferimento alla scena globale è soprattutto rivolto al paesaggio, il cui contenuto visuale è dato dalla somma delle singole componenti. Infatti la peculiarità del vincolo paesaggistico è proprio della bellezza d’insieme; bellezza di natura e di cose antropiche, che si possono leggere nei testi dei decreti ministeriali di vincolo, soprattutto rivolti ai nostri territori.
[13] La totalità, infatti, è costituita da tante “tessere” più o meno grandi; la completezza, appunto, si appaga del corretto ordinamento delle singole parti e la scena globale, che si può ammirare è fatta dall’insieme di tanti singoli elementi.
[14] Sul tema e sul significato del termine “impatto” la Regione Lombardia ha addirittura adottato un metodo (che ha reso obbligatorio) che si radica nella pianificazione urbanistica e si ricollega alla valutazione della singolarità della proposta di trasformazione. Un metodo che valuta la “perturbazione” che ogni progetto di trasformazione sviluppa sulla complessità del paesaggio e che ne determina l’attuabilità attraverso una complessa azione concertata di confronto tra commissioni e progettista.
[15] Si fa riferimento alla perdita continuativa di piccole parti (apparentemente insignificanti se prese nella singolarità) che portano al degrado ed alla perita di identità.
[16] Intendendo come Edilizia l’insieme delle azioni antropiche condotte finalizzate alla costruzione di fabbricati e manufatti di ogni genere.
[17] In fondo il semplice concetto di regola d’arte (cui tutto allinea) ricollega l’opera funzionale alla più grande opera d’architettura, in quanto contiene il principio stesso di “eccellenza”.
[18] Il concetto di autorità è più facilmente individuale in un processo di project management e corrisponde al soggetto che ha poteri in materia di decisione finale. Nei processi che coinvolgo il “soggetto pubblico” la responsabilità della decisione è individuabile nel RUP, che per legge assume il ruolo di coordinatore generale, in quanto soggetto in possesso di una visione ampia e completa del fine e del processo. Nella pubblica amministrazione, la valutazione pubblica di una verifica di conformità paesaggistica è ammessa se l’organizzazione dispone di una specifica area di competenza e pone a capo del processo un soggetto indipendente dal RUP, prevedendo dunque una duplice componete del concetto di autorità; ciò al fine di garantire la separazione del processo edilizio da quello paesaggistico.
[19]Come si sa i soggetti che prendono parte al processo valutativo sono plurimi; alcuni ambiti come quello sanitario, sono soddisfatti dal principio di “autodichiarazione”, ma altri come quello della sicurezza, della tutela ambientale e della componente paesaggistica, monumentale e urbanistica sono soggetti a valutazioni tecniche si settore.
[20] Gli addetti ai lavori reclamano una ridotta o inesistente disponibilità al confronto che si tramuta in determinazioni spesso “troppo verticali”.
[21] Spesso accade che il rallentamento del processo, dovuto ad illegittime sospensioni e pareri che eccedono nel ruolo interferendo con altre specialità, ritardino il rilascio dei pareri (vedi l.gge 241/90) determinino un disorientamento dei compiti amministrativi per cui anche il RUP, anziché decidere in modo autoritario ( non di rado costretto dalle dalle incertezze del settore) ad assumere il ruolo di “testimone degli eventi”, notificando negli atti abilitativi tutte le osservazioni legittime e “ talvolta meno” rendendo così “regolare” ogni forzatura di ruolo proveniente dall’ esterno.
[22] La fattispecie, in diritto, è la situazione particolare disciplinata da una norma giuridica (o da parte di essa), nella quale sono descritte le condizioni il cui avverarsi rende la norma stessa applicabile.
[23] Si intende sostenere che stante il pubblico interesse di ogni trasformazione (quella in difesa del paesaggio è addirittura costituzionale) l’analisi valutativa intersettoriale costituisce un contributo alla corretta azione attuativa ed al contempo concorre a ristorare il principio di trasparenza delle scelte.
[24] Si rammenta che i pareri sono sempre di natura tecnica e si sviluppano da adeguate competenze tecnico-scientifiche e idonee risorse strumentali che l’ufficio di rango dispone. Purtuttavia il parere non può essere semplicemente discrezionale o affermativo e non può addentarsi nella sfera della scelta progettuale se non specificatamente motivato da interessi di ordine superiore (per esempio il locale che non raggiunge il rapporto minimo di areo illuminazione; oppure, la costruzione in zona agricola che contrasta con l’edificabilità delle aree a rischio esondazione, oppure la modifica indiscriminata di caratteri tipologici di un edificio in cortina storica ecc.)
[25] Il riferimento può trovare esempio nei pareri paesaggistici che intervengono “puntigliosamente” sulle scelte architettoniche di forma, oppure sulle modalità di conservazione di manufatti civili esistenti esclusi dal vincolo puntuale.
[26] Con dpr 616/77, a seguito dell’avvento delle regioni vennero trasferite a quest’ultime, tra le altre, le competenze in materia di paesaggio e anche urbanistica con la conseguenza di gestirne le trasformazioni.
[27] Le competenze sui beni monumentali non sono state oggetto di delega e pertanto rimangono in capo allo Stato che le gestisce per il tramite del ministero dei beni culturali e, a ricaduta, le Soprintendenze.
[28] La sanità è un interesse pubblico, cosi come l’ambiente ed anche il paesaggio; la sicurezza è di grande importanza e può riguardare la scala territoriale ed anche il singolo edificio.
[29] Cfr. TAR Sardegna, sez. II, sent. n. 2404/2010 Consiglio di Stato, sezione II, 15 settembre 2020, n. 5451 “(…) In tema di edilizia e urbanistica: 1) gli atti adottati dall’autorità preposta alla tutela delle bellezze naturali costituiscono espressione di discrezionalità tecnica, onde sono sindacabili in sede di giurisdizione di legittimità unicamente per manifesta illogicità o travisamento dei fatti o per inadeguatezza dell’istruttoria o della motivazione; 2) la motivazione deve ritenersi sufficiente allorché evidenzi l’impatto dell’opera sulla bellezza naturale e l’esigenza di tutelarla, atteso che l’obiettivo dell’Amministrazione, nell’esercizio della funzione di tutela del paesaggio, è quello di difendere, mercé un giudizio di comparazione, il contesto vincolato nel quale si collochi l’opera, tenendo sì presenti le effettive e reali condizioni dell’area d’intervento, ma pure se l’eventuale sovraccarico di plurimi interventi in situ non abbia raggiunto un livello di saturazione incompatibile col vincolo; 3) il parere negativo formulato dall’autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico ha valore vincolante e preclusivo del procedimento di condono edilizio; esso può essere sinteticamente motivato col riferimento alla descrizione delle opere e alle concrete circostanze nelle quali le stesse sono collocate, essendo la difesa del paesaggio valore costituzionale primario; 4) in quanto espressione di discrezionalità tecnica, e non già amministrativa, il parere sulla compatibilità paesaggistica non implica alcuna forma di comparazione e valutazione di interessi eterogenei (…)”
[30] “cfr.Avv. C. Orlando (…) La funzione consultiva è esercitata da organi che hanno il compito di consigliare gli organi di amministrazione attiva, si estrinseca in pareri, ossia manifestazioni di giudizio a carattere ausiliario, che normalmente non hanno rilevanza autonoma, ma si inseriscono in un procedimento amministrativo più ampio destinato a confluire in un provvedimento finale…
[31] E’ stato rilevato come il decorso dei termini di legge per l’espressione di un parere, venga da taluni uffici fatto decorrere non, dalla data di ricezione formale del documento presso l’ufficio, ma da una “successiva” data di “assunzione al protocollo Ufficio” con la conseguenza che i termini possono slittare a piacimento.
[32] Il riferimento non riguarda casi specifici ma raccoglie genericamente gli esiti dell’attività, lamentati negli anni dai soggetti coinvolti.
[33] Per quanto attiene al parere vincolante che è in capo al Soprintendente, i termini di legge sono specificatamente disciplinati. Qualora il responso non giunga entro i termini massimi il potere vincolante si traduce in non vincolante. I contenuti del parere sono sempre validi.
[34] Ciò significa- per esempio- che per quanto attiene agli interventi in ambiti sottoposti a tutela paesaggistica il titolare deve soddisfare gli adempimenti previsti dalla norma qualora interessati. Per una più attenta disamina si rimanda alle voci del glossario allegati A e B del Dpr 13 febbraio 2017, numero 31.
[35] I pareri facoltativi sono quelli che l’organo di amministrazione attiva può richiedere all’organo consultivo senza che esista un obbligo di legge al riguardo.
[36] I pareri sono invece obbligatori quando una norma prescrive che debbano essere necessariamente acquisiti prima di emettere il provvedimento finale. In tal caso l’omessa richiesta del parere obbligatorio rende illegittimo l’atto finale
[37] I pareri sono vincolanti quanto questo requisito viene espressamente previsto dalla legge. Infatti di norma i pareri non sono vincolanti (come per il parere della commissione al paesaggio che è obbligatorio ma non vincolante). Per esempio l’articolo 146 al comma 5 del D.lgs. 42 /2004 definisce come vincolante il parere del Soprintendente e pertanto che risulta indubbio il Suo recepimento anche fuori termine se necessario.
[38] Per amministrazione attiva si intende l’amministrazione che ha il compito di dirigere il corso dei rapporti di un procedimento; l’amministrazione consultiva e quella che fa capo ad ogni soggetto esterno che si pone l’obbligo di fornire pareri di merito di natura tecnica.
[39] Anche il parere del Soprintendente va inteso di discrezionalità tecnica.
[40] Rif Iride Pagano. Web: Dititto.it: “(…) il procedimento di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica attribuisce alle Soprintendenze dei beni e delle attività culturali un ruolo di cogestione del vincolo paesaggistico, che si esplica nella titolarità di poteri valutativi di merito e non più in un mero controllo di legittimità dell’autorizzazione rilasciata dall’Ente delegato dalla Regione. (…)
[41] Rif. Art 159 d.lgs. 42/ 2004 “(…) Entro tale data (31/12/2009) le regioni provvedono a verificare la sussistenza, nei soggetti delegati all’esercizio della funzione autorizzatoria in materia di paesaggio, dei requisiti di organizzazione e di competenza tecnico-scientifica stabiliti dall’articolo 146, comma 6, apportando le eventuali necessarie modificazioni all’assetto della funzione delegata. Il mancato adempimento, da parte delle regioni, di quanto prescritto al precedente periodo determina la decadenza delle deleghe in essere alla data del 31 dicembre 2009 (…)”
[42] L’affermazione si riferisce ad un concreto dato di fatto, tramite il quale -con adeguate vie amministrative e normative -la Regione ha temporaneamente rimesso allo stato un potere che già nel 1977 era stato oggetto di forti contrasti tra regionalisti e statalisti. Merita ribadire che il riappropriarsi, da parte delle regioni, di questa delega in modo concreto non sarà cosa facile e soprattutto immediata anche perché ad oggi i piani paesaggistici redatti secondo il nuovo codice, sommano poche unità; La Corte Costituzionale con la sentenza n. 240 del 17 novembre 2020 ha affermato che Il punto di equilibrio dei poteri statali e regionali nella materia della tutela e valorizzazione del paesaggio risponde ad un fondamentale principio cui si ispira l’intero sistema della tutela del paesaggio, consistente nella co-decisione e nella compartecipazione necessarie tra Stato e regione, nelle tre fasi in cui si articola la tutela paesaggistica (individuazione, pianificazione e gestione-controllo autorizzatorio dei vincoli).
[43] Rif. L.241/90 art 1 c.mma 1 “ (…) L’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza, secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai principi dell’ordinamento comunitario”
[44] Andrea Guastalla : contributo sul tema in oggetto
[45] La citazione riassume il concetto classico di eccellenza.